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Le Abarth Formula

Dai record a fucina di piloti

Oltre alle marmitte, ai kit di elaborazione e alla trasformazione di auto di serie in sportive di razza, l’Abarth produce anche monoposto. Dalle avveniristiche carrozzerie di Pinin Farina e Bertone a vetture Formula, si dimostrano vincenti nel dare visibilità al marchio dello Scorpione battendo record di velocità e durata, ma anche di accelerazione su brevi distanze.


A metà degli anni Cinquanta Carlo Abarth è sempre più convinto che per promuovere le sue vetture, oltre alla presenza sui campi di gara, sia di grande impatto a livello mondiale abbattere i record di velocità e durata. Con la stessa logica, aiuta anche Fiat a dimostrare le qualità e la robustezza della Fiat Nuova 500 che, inizialmente, aveva suscitato perplessità tra pubblico e stampa specializzata.

Teatro ideale per svolgere queste attività è il complesso dell’autodromo di Monza che offre il velocissimo “anello dell’alta velocità”, tracciato che permette alle vetture di percorrere ore e ore a tavoletta fermandosi solo per fare rifornimento e cambiare pilota. È in questo contesto che le vetture Abarth battono una lunga serie di record: dalla Fiat Abarth 750 Record alla Fiat 500 Elaborazione Abarth, ma anche le avveniristiche aerodinamiche monoposto a ruote coperte create in collaborazione con i più autorevoli carrozzieri italiani di quegli anni. 

Oltre ai prototipi da record, alle trasformazioni di auto di grande produzione come le Fiat 600, l’Abarth produce, per la propria scuderia e i clienti privati, anche auto dedicate alle competizioni in pista e gare in salita, sia a ruote coperte, barchette della categoria Sport, e anche monoposto a ruote scoperte tipo Formula. A creare telai e ciclistica di queste vetture da competizione è l’ingegner Mario Colucci, arrivato a Torino nel 1958 dall’Alfa Romeo, per il progetto Alfa Romeo Abarth 1000.

Verso la fine del 1964 la FIA (Fédération Internationale de l’Automobile) istituisce nuovi record sulle brevissime distanze. Contestualmente il contatore complessivo dei primati stabiliti delle vetture con lo Scorpione è prossimo a quota 100. 

È il 1965: Carlo Abarth ha 57 anni ma vuole essere protagonista di questo momento storico per la sua azienda. Così sceglie una leggera e scattante monoposto a ruote scoperte: nome in codice SE 08, nata nel 1964 come Formula 2 con motore 1,3 litri sviluppato su base Simca, trasformata in Formula 3 con il più affidabile 1000 di origine Fiat 600 dell’Abarth 1000 Berlina ”Corsa”. La monoposto viene utilizzata nel 1964 per gare in salita. Poche modifiche al musetto e al parabrezza per migliorare l’aerodinamica, la leggerezza da una parte (pesa circa 500 kg) e gli oltre 100 CV dall’altra, rendono la vettura perfetta per aggiudicarsi i neonati record di accelerazione.

Poiché Carlo Abarth desidera pilotare personalmente questa vettura, si sottopone a una ferrea dieta e il 20 ottobre 1965, come tradizione sul tracciato monzese, conquista due primati mondiali nella Classe G, stabilendo i record di accelerazione sul quarto di miglio e sui 500 metri. Raggiunta quota cento, il giorno successivo e sullo stesso telaio, Abarth fa montare il motore due litri per stabilire altri due primati, nella Classe E, sulle stesse distanze. L’anno successivo, la monoposto torna ancora in pista a Monza per riprendersi i primati che i tedeschi avevano tentato di insidiare.

L’evoluzione delle monoposto Abarth vede protagonisti da una parte Fiat, inizialmente in modo non ufficiale, dall’altra l’ente CSAI, che crea un Trofeo monomarca con costi contenuti per permettere a giovani piloti di formarsi, crescere ed emergere. Nascono la Formula Italia e, in seguito, la Formula Fiat-Abarth.


Dopo l’esperienza dei record, la creazione di vetture Formula in Abarth prosegue con nuovi intenti. Nel 1971 con il nome in codice SE 024 la Casa dello Scorpione cerca di mettere insieme una vettura per un progetto della CSAI (Commissione Sportiva Automobilistica Italiana, oggi ACI Sport) che ha lo scopo di realizzare una monoposto economica con motore 500 cc, per creare una vettura e un trofeo propedeutici alla Formula 3 e formare giovani piloti. Benché il progetto sfumi, diventa la base per la creazione di qualcosa di migliore. 

Con il supporto non ufficiale di Fiat viene presentato dalla CSAI, nel luglio del 1971, il Trofeo Formula Italia, definendo così gli aspetti tecnici delle vetture progettate e prodotte in Abarth con il codice SE 025, ma per tutti note come Formula Italia.

La monoposto, costruita con l’intento di tenere bassi i costi di produzione, usa il glorioso bialbero Lampredi da 1,6 litri che equipaggia le Fiat 124 Sport, con freni, cerchi, ammortizzatori, semiassi, scatole dello sterzo e componentistica varia “rubata” a diverse auto di serie Fiat, mentre dalle Lancia Fulvia viene preso il cambio a cinque marce. Con due carburatori doppio corpo Weber da 40, il motore eroga tra i 110 e 120 CV mentre il peso si attesta intorno ai 470 kg per spingere la monoposto oltre i 200 km/h. La prima vettura coi colori della bandiera italiana viene esposta al Salone di Torino nell’autunno del 1971, per lanciare il Trofeo l’anno seguente.

Il primo anno il Trofeo si sviluppa nei mesi estivi in dieci gare nei circuiti italiani di: Monza, Misano Adriatico, Imola, Vallelunga e Varano Melegari. Si susseguono otto edizioni, dalle quali emergono piloti che approdano in seguito a categorie superiori. Il primo anno vince il giovane Giorgio Francia, che diventerà uno dei più autorevoli collaudatori dell’Alfa Romeo nonché tra i protagonisti della gloriosa vittoria, insieme a Larini e Nannini, a casa dei tedeschi nel loro DTM del 1993, con la mitica Alfa Romeo 155 2.5 V6 TI. Molti, invece, scalano le varie categorie a ruote scoperte fino a raggiungere la Formula 1, tra questi: Giancarlo Martini, Pier Carlo Ghinzani, Riccardo Patrese, Bruno Giacomelli, Nicola Larini, Michele Alboreto e Siegfried Stohr.

Nel 1978 la Fiat può promuovere in prima persona l’evoluzione del trofeo monomarca. La nuova vettura è più robusta e pesante, ma ancora più adatta a formare la sensibilità dei piloti nella messa a punto della ciclistica. Il bialbero Lampredi cresce a due litri e viene preso dalla Lancia Beta, così come il cambio. La vettura viene presenta all’Autodromo di Monza nel settembre 1979 durante il Gran Premio d’Italia, il giorno prima del ritorno alla vittoria del Mondiale Piloti di una Ferrari con Jody Scheckter. È l’allora collaudatore Giorgio Pianta, quello che in seguito sarà manager di Alfa Romeo in pista nonché progettista dell’originalissima Lancia Trevi Bimotore, a portare sul circuito brianzolo la nuova Formula Fiat-Abarth (codice SE 033).

Il rinnovato Trofeo, con la stessa finalità del precedente, mette in luce altri nuovi talenti, tra i quali Alessandro Nannini ed Emanuele Pirro. Una vettura viene data in gestione al settimanale AutoSprint che la porta in pista scegliendo l’emergente pilota Roberto Ravaglia che diventerà un grande protagonista a livello mondiale con le vetture Turismo. Quote rosa per Giovanna Amati che, passando in seguito dalla Formula 3 alla Formula 3000, resta l’ultima pilota italiana a correre in Formula 1.

Il Trofeo Fiat-Abarth termina nel 1986, anno in cui il Biscione entra nel Gruppo Fiat, per passare il testimone alla Formula Alfa Boxer nel 1988, evoluzione con monoposto a ruote scoperte del Trofeo Alfasud, nato per promuovere la nuova compatta Alfa Romeo prodotta a Pomigliano d’Arco. 

Il successo dei due trofei si misura nel corso degli anni con la massiccia presenza di piloti italiani in Formula 1: per oltre un decennio, nelle massime divisioni del motorsport in pista, si assiste al proliferare di talenti italiani, condizione che non si ripeterà più in futuro. Qualcosa di molto simile avviene nei rally con il Trofeo A112 Abarth, dal quale emergono piloti di caratura mondiale e, anche in quel caso, il Gruppo Fiat è protagonista.

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